sabato 1 dicembre 2012

The Cosby sweater

Un po' di cose sul tizio che ha invitato il maglione più bello che ci sia.
Koos van den Akker è un fashion designer olandese, a cui tutti dobbiamo voler bene.

martedì 9 ottobre 2012

Sono Homer, il fratello cieco.

"Homer & Langley" è uno di quei libri che ti accorgi di quanto siano belli solo quando li hai finiti.  Forse se la penso così è solo per il mio particolare interesse nelle malattie mentali anche se, nel libro, la parola "malattia" non è neppure menzionata.  A New York il caso di questi due fratelli, che accumularono nella loro casa ad Harlem quantità incalcolabili di ciarpame fece così tanto scalpore allora (nel 1947) per la sua assurdità totale che il termine tecnico per indicare quel fenomeno, "disposofobia", venne ribattezzato "sindrome di Collyer". L'autore, E.L. Doctorow ha ripreso -romanzandola e traslandola nel tempo- la loro storia, a sessant'anni di distanza, concedendosi una serie di licenze e raccontandola dal punto di vista di Homer, il fratello che prima diventò cieco e poi - come se non bastasse - sordo. Il grado di follia dei due fratelli, ma in particolare di Langley, viene descritto dall'autore come se fossimo parte della sua mente, lì con lui, a montare una Ford nella sala da pranzo o a progettare una dieta a base di erbe e noci tritate in grado di curare la cecità del fratello; i Collyer se ne stanno sempre ficcati in casa e diventano leggenda, ma nella misura in cui diventano bersaglio delle sassate dei ragazzini.  Il livello di degenerazione mentale è progressivo lungo tutto il romanzo, eppure ci si entra dentro mani e piedi, barricati insieme a loro in quella sorta di rifugio dal mondo esterno, condividendo le loro ansie, le loro gioie, i problemi di Homer e  - grazie alle sue descrizioni accurate - immaginandosi ogni singola stanza, un sorta di labirinto pieno di oggetti: dai pianoforti alle radio, dalle tv ai gatti che dormono, dai vestiti militari alle pentole ai pacchi di giornali. Il libro è bello, molto bello (l'avevo già detto?).
La loro (vera) storia è qui, se avete voglia di leggerla. 

Vorrei ringraziare in particolare Giorgio, che essendo partito per quel paese dove ci sono tante biciclette, canali e coffee shop mi ha lasciato in custodia una piccola biblioteca.

domenica 7 ottobre 2012

Meanwhile, campagna elettorale negli Stati Uniti

Dall'altra parte dell'oceano stanno messi così:


Let's get CRITICAL

Non é mica facile come sembra viaggiare in bicicletta ed evitare di farsi investire dai quei tamarri col fischio che sbucano da ogni lato per sorpassarti in velocità sulla discesa del ponte per andare in Bovisa. Provateci voi. Non è una minaccia, è un invito. Aldilà dei lividi sulle gambe l'appuntamento della Critical Mass milanese ogni Giovedì sera è un'esperienza da vivere, almeno una volta.
C'è uno con lo stereo, il tizio con il cane nel risciò, la ragazza col megafono che grida "butta-la, butta-la!" agli automobilisti, c'è il pirata che registra video mentre usa un longboard, quello - che io conosco - con mille girandole colorate, i tamarri che fanno le evoluzioni con le BMX, una saltafoss truzzissima  - che inevitabilmente colpisce i ciclisti più nostalgici -, ed una serie infinita di cappelli bizzarri (da marinaio, da cowboy, da tortadicompleannofrancese - quella ero io -, da vaso di fiori - altra conoscenza -, con l'elica bicolore che gira o, molto più sobrio,  con un paio di corna da vichingo).
La Critical Mass è qualcosa a cui voler bene, perché è un momento un po' diverso e non fa male a nessuno: prendi la tua bicicletta, esci da casa e ti fai un giro con un sacco di gente che, come te, per una sera ha deciso di uscire a divertirsi. Sotto c'è tutta una storia, lunga e molto interessante, e lo scopo principale è quello di fare, appunto, massa critica, in una azione di protesta collettiva contro l'inquinamento delle città causato dall'uso sconsiderato dell'automobile. Per una notte la massa si muove compatta per il traffico cittadino, permettendosi di ignorare bellamente il colore dei semafori e le comuni norme dell'educazione per insultare - in modo più o meno scherzoso - i guidatori, ma in una maniera tale e con un atteggiamento che non ha nulla a che fare con l'accanimento puro e immotivato ma piuttosto per preservare quel principio di fondo che anima tutta la Critical Mass.
cit. "Viva la biga!"

(a 1:04 spuntiamo io e i miei amichetti)

Made in China

Io non li ho mai provati, i biscotti della fortuna.
Forse un po' perché non sono così popolari in Italia, ma anche per l'aspetto che - forse tradisce - non li rende particolarmente appetitosi.
Eppure sono un mito, e magari esagero a volerli addirittura definire un'icona moderna (grazie ai film e alle serie americane) come - dal punto di vista culinario - lo sono anche gli hot dog, gli hamburger e i milkshake, che fino a qualche decennio fa erano solo parte del mondo di Happy Days, in quell' universo del tutto sconosciuto reso famoso tramite le trasmissioni in tv.
Il pensiero comune veicolato dai programmi televisivi vuole che i biscotti della fortuna siano un prodotto tipico della cultura cinese. E invece sticazzi.
Come viene spiegato in modo esauriente qui, i fortune cookies sono - molto probabilmente - nati in California, creati da un giapponese in maniera molto similare al senbei, un cracker tradizionale: il primo cenno storico risale a Makoto Hagiwara che servì una rivisitazione del biscotto al Golden Gate Park di San Francisco all'incirca verso il 1890. Solo durante il periodo della seconda guerra mondiali la produzione di questi dolci sarebbe passata al monopolio cinese, visti i rapporti non particolarmente amichevoli tra Stati Uniti e Giappone, che non avrebbe poi più rivendicato l'introduzione del dessert nel paese.
E in Cina non ci sono nemmeno, o meglio: esistono, ma vengono venduti solo ai turisti. I biscotti della fortuna sono un prodotto creato dai giapponesi, tipicamente americano, che gli americani credono tipicamente cinese. 

mercoledì 13 giugno 2012

"It's ok to be gay" (se non giochi in nazionale)

Chissà se è peggio Alessandro Cecchi Paone, Antonio Cassano, oppure i giornalisti che gli chiedono cosa ne pensi di cosa dice Paone e sghignazzano alla parola "froci".
"Ci sono froci in squadra? Se penso a quello che dico, chissà che cosa vien fuori". (Ecco, adesso si svela anche il mistero del perchè Cassano spesso si metta una mano davanti alla bocca prima di parlare: ogni volta che lo fa muore una maestra, da qualche parte in Italia.)
MA FORSE lui intendeva dire - come rettificato in serata in una conferenza stampa - che se in Nazionale ci sono dei gay, allora affari loro, "non mi riguarda e non mi permetto di esprimere giudizi sulle scelte di altri" (e - fin qui - niente di così irrispettoso). E FORSE anche Cecchi Paone - per quanto io lo rispetti come anchorman - ha un po' voluto dare spettacolo di sè parlando di omosessuali nella squadra di calcio italiana e costruendosi un po' la figura di paladino dei gay.
I commenti del calciatore rimangono ad ogni modo beceri, ma peggio di lui sono quelli che lo sostengono e che a suo favore espongono la tesi per cui lui avrebbe solo espresso - forse in modo troppo diretto - l'opinione di "tutti" e andrebbe solo apprezzato per la sua sincerità. L'omofobia non ha nulla di apprezzabile, in qualunque contesto e manifestata da qualsiasi persona. Che Cassano sia notoriamente un personaggio poco posato, faccia di lavoro il calciatore e che nel mondo dello sport l'omosessualità sia di fatto da molti anni un tabù non giustifica affatto le sue dichiarazioni. E qui non si discute sull'uso di una parola decisamente deprecabile ed offensiva come frocio (o il fatto che non sia "scappata di bocca" una volta, ma usata come termine "standard" per definire le persone omosessuali) ma piuttosto dell'idea di fondo, del ragionamento che sta sotto tutto il discorso per cui lui spererebbe che non ci siano gay in nazionale. Non è questione dell'indignazione-a-tutti-i-costi quando si tocca l'argomento, non è una difesa strenua dei diritti degli omosessuali per cui ogni opinione diversa dalla parte più estrema del movimento gay va tacciata di omofobia, non è strumentalizzazione, e non si sta esagerando o alterando le affermazioni di "Fantantonio". Qui si parla del rispetto di diritti basilari della persona, ognuno è libero di avere la proprio sessualità e di manifestarla - o meno - pubblicamente. "Mi auguro che in nazionale non ce ne siano". La parola frocio è maleducazione, ignoranza, volgarità gratuita;  il resto è discriminazione e razzismo.

sabato 19 maggio 2012

Relationships in Paris


<< For visitors, Paris is the City of Love.

For Parisians, it is the City of Relationships. Every Parisian is in a relationship. That relationship is more or less official, more or less successful, but it always is. Consequently, there is simply no singles scene in Paris. If sexual tension is what makes a city fun, Paris has officially become the most boring city in the world.
All young Parisians are in relationships. For them, the main reason to be in a relationship is simply not to be single. Most young Parisians are averse to life: they see most things as threats, most risks as primarily dangerous, most singular paths as awfully unsafe. Danger for them is around every corner. They view relationships are round little things with no threatening corners; the threats of a relationship they feel they master and choose—this feeling is a reassuring one. Therefore their relationships are long-lasting ones. Not quite good enough to get married, not quite bad enough to break up.
Being single after the age of twenty-six is the clear indication of a troubled mind. If not a troublemaker, that person has got to be a trouble seeker. While the English language has the good taste of distinguishing “alone” from “lonely,” French only offers seul. Not being in a relationship means being seul. >>

Olivier Magny scrive questa cosina qui

domenica 13 maggio 2012

La top ten del Mulino Bianco

Su il Post (che, come se non avessi insistito già abbastanza su questo punto, è il giornale online più-figo-che-tutti) 2 giorni fa è uscito un articolo di Massimo Bernardi, persona a me sconosciuta e da subito ritenuta indegna della mia stima (tsè) in quanto non solo incapace di stilare una dignitosa classifica dei prodotti Mulino Bianco migliori, ma anche mente malata in grado di partorire gli insulti più altisonanti e inutili su cibi a cui invece si può solo voler bene (nonostante siano la causa principale dei kg di troppo). In risposta, ecco la mia Top 10 Mulino Bianco:

1 - Grancereale : non ce n'è per nessuno: sia da soli che inzuppati, vanno sempre bene. Neanche eccessivamente calorici per essere biscotti della MB. Ideali con: tè, caffèlatte, latte e ogni tipo di liquido adibito alla prima colazione.


2 - Tarallucci : uovo+burro+farina per tenere insieme il tutto. Classico che resiste nel tempo, un po' come le Macine. Ideali con: caffélatte/ tè caldo

3 - Baiocchi : le differenze tra il pacchetto "standard" e la confezione stile "Ringo" evidenziate da Massimo Bernardi non esistono. Alla lunga impastano la bocca, quello sì, però si fanno mangiare molto volentieri. Unico difetto: inzuppati non rendono troppissimo (il cioccolato si scoglie e ne esce un casino da recuperare senza sporcarsi completamente le mani)

4 - Macine : i biscotti da inzuppo-nel-latte per eccellenza. Nonostante l'aspetto innocuo il livello di burrosità rasenta quello degli shortbread scozzesi (che però non sono i Walkers, quelli stanno ancora più in alto - sia ben chiaro). Sono l'esatto opposto dei Baiocchi, infatti mangiati così, "nature", sono un po' mattonosi.


5 - Abbracci : non passano mai di moda. Un po' come il nero e i Labrador. 

6 - Pan di Stelle : anche se non siamo più alle elementari continuano a piacerci. Però solo quelli tondi, la variante natalizia è bocciata. (E sì, quelli a forma di albero, stella ecc. NON sono come quelli normali, a dispetto di quanto possa sostenere mia mamma). 

7 - Batticuori : più giovani rispetto a pietre miliari come Macine, Saccottini ecc. ma nonostante ciò si guadagnano un posto nella Top Ten, un po' anche grazie al design del biscotto. Super-cioccolatosi. Scavalcati dai Pan di Stelle solo per una questione anagrafica, chissà che la situazione non possa cambiare.

8 - Molinetti : bomba calorica (come anche sottolineato da Bernardi) di 70 calorie al pezzo. Eppure si fanno strada, ogni tanto ci stanno, con cadenza bimensile, magari. Lusso che si smaltisce solo dopo una corsetta.

9 - Nastrine : unica merendina che può essere definita tale. Bocciatura categorica dei suoi simili: Flauti, Pan Gocciole, Saccotini o altre sfoglie chimiche ripiene di marmellate/creme. Probabilmente nelle Nastrine lo zucchero in superficie occulta il sapore dei grassi idrogenati. Promosse anche da "pucciate".

10 - Galletti : sembra spariscano dal commercio per alcuni anni, e invece sono sempre lì: resistono nella loro mediocrità golosa. Ogni tanto, per cambiare, non sono neanche così male.

Ci sono ancora le Tenerezze al limone? Mettiamo ipoteticamente che-sì, ecco: starebbero di sicuro appena sotto il podio.


CLASSIFICA MODIFICATA il 13-06-2012

venerdì 2 marzo 2012

"Ciucciatevi il calzino!"

L'avevano detto che nel 2012 sarebbe finito il mondo. 
Inutile fare una noiosissima premessa su cosa/chi siano i Simpson, ormai giunti alla loro 23esima stagione in Italia.
Niente di nuovo, fin qui. La notizia sarebbe questa: Ilaria Stagni (sì, quella che compare nei titoli di coda), la voce di Bart Simpson, avrebbe rifiutato un taglio al proprio stipendio e sarebbe stata sostituita, così come Liù Bosisio, doppiatrice di Marge Bouvier e delle sorelle Patty e Selma.
Secondo le lamentele presentate dalla Stagni in un'intervista esclusiva, le due - dopo aver già accettato una diminuzione del 40% - avrebbero rifiutato un'ulteriore ribassamento del proprio cachet. Ci sono da dire un paio di cose: la prima è che lo stipendio di queste doppiatrici era maggiorato rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale della categoria (ma in ogni caso non confrontabile con quello dei colleghi statunitensi, che arrivano a guadagnare quasi 400.000 dollari a puntata), la seconda è che Ilaria Stagni specula parecchio sul fatto che lei sia "la sola voce di Bart" e si senta - testuali parole -, "gialla dentro", secondo quanto riportato nella sopracitata intervista. Altro dettaglio: lei è figlia di doppiatori. Potrebbe sembrare apparentemente normale che una figlia decida di seguire le orme dei propri genitori, se non fosse che lo stesso discorso vale per circa tutti i suoi colleghi. Un esempio piuttosto palese è quello di Giuppy Izzo, doppiatrice relativamente famosa ma significativo esempio di quel "nepotismo" tutto italiano nel mondo del doppiaggio. Ecco cosa dice la sua voce Wikipedia: 

È figlia del doppiatore Renato, sorella delle doppiatrici Simona, Fiamma e Rossella e cugina della doppiatrice Loredana Nicosia. Madre della doppiatrice Nike Francesca Pucci e ex-moglie del doppiatore Fabrizio Pucci.
Ha recitato anche in alcuni film, in particolare sotto la regia della sorella Simona e del cognato Ricky Tognazzi.

Ma chiusa questa piccola parentesi c'è anche da sottolineare la bravura dei "nostri" doppiatori, che fanno vergognare incredibilmente i colleghi stranieri, ad esempio quelli spagnoli, che hanno solo una "voce donnina" e "voce uomo" standard.
La questione principale, cioè "i Simpson cambiano le voci", è un ulteriore passo verso l'abolizione del doppiaggio, che vedrebbe dunque la sua fine a favore di film e programmi in lingua originale sottotitolati.
In fondo è quello che sostengono da anni - da quando è nato lo streaming online -, i fan più impennati di alcune serie tv, secondo cui i serial varrebbero la "metà" se non guardati con le voci reali degli attori. Forse è davvero la cosa migliore da fare e non credo che questo sia - come è stato definito nel web, dai fan della serie - un "attentato" ai Simpson, eppure un po' mi spiace che Bart non avrà più la voce di Bart. 

domenica 19 febbraio 2012

Brevi pensieri su Sophia Loren

L'Italia si divide in due gruppi di persone: quelle che vanno matte per Sophia Loren e quelle che invece no. Ho sempre fatto parte di quella minoranza - definita incredibilmente cieca e antipatriottica - che vede l'attrice come una bella signora, e niente di più. Le vanno riconosciuti alcuni meriti, oggettivamente: nonostante c'è chi possa subire o meno il suo fascino rimane una discreta attrice (2 Oscar), e ha reso grande il nome dell'Italia nel mondo, quasi quanto la pizza, il mandolino e la mafia (che tuttavia non mi sento di ringraziare).
La Loren non mi piace, insomma. Aveva (ha) il culone - anche se questo non credo basti a pregiudicare un'intera carriera -, un'accento troppo napoletano, tifa Napoli - questo invece basterebbe - e il suo presunto "fascino" non mi ha mai toccata come invece hanno fatto la raffinatezza di Audrey Hepburn o l'eleganza di Francoise Hardy. Ho sempre pensato fosse una bellezza "rustica", paesanotta e anche quasi un po' - mi permetto - cafona.
Ma in fondo, nonostante sia stata l'icona negli anni '50, '60 nel nostro paese, la sua figura risulta essere ancora attuale, specchio di un' Italia più contadina che non signora di classe. Non raccontiamoci balle: per il mondo siamo - e rimarremo, ancora per qualche anno - i fastidiosi amici casinisti e cacioroni. Un po' come Sophia Loren.

mercoledì 8 febbraio 2012

May the force be with you

John Williams compie oggi, 8 Febbraio, ottanta anni. Williams é un direttore d'orchestra e compositore statunitense strepitosissimo. La sua vastissima produzione é incredibile, ha composto la colonna sonora di buona parte dei film di Steven Spielberg ("E.T.", "Jurassic Park", "Hook" e "Schindler's List", per citarne solo alcuni), "Memorie di una geisha", i primi tre film su Harry Potter, capolavori come la saga di "Indiana Jones" e moltissimi altri. Vincitore di 5 Oscar - perchè uno solo è da sfigati - come "Migliore colonna sonora", ha ricevuto in tutto 47 nomination (secondo solo a Walt Disney, che si è fermato a quota 60), é conosciuto invece dai nerd impallinati come quello che ha composto la musichetta iniziale - se mi è concesso definire così quel gran pezzo di storia del cinema - di Star Wars.

John Williams, con oltre 50 anni di lavoro alle spalle, continua a stupire e sperimentare. 
Nel 2002, in occasione del ventennale di E.T. ha provato una cosa mai fatta prima: durante la proiezione della pellicola restaurata ha diretto un'orchestra dal vivo, suonando l'intera colonna sonora in sincronia col film.
Per immaginarsi la fama di cui gode Williams nella scena musicale basti pensare che ogni suo concerto ha un massimo di tre bis, già predisposti.
Speriamo ne festeggi molti altri, di compleanni.


martedì 7 febbraio 2012

The weight of the smoke

Quella di Sir Walter Raleigh é una figura misteriosa.
Il nome dovrebbe -in teoria- ricordarvi quel galantuomo che, si dice, -ma non si può sapere con certezza-, abbia volentieri gettato a terra il suo mantello su di una pozzanghera per permettere il passaggio dell'allora regina Elisabetta I.  Quel che è sicuro è che lui sarebbe quello che nel 1584, e sempre in onore della regnante, ha chiamato la colonia appena scoperta nel continente americano "Virginia" (Elisabetta era chiamata la "Regina Vergine" e blabla).

Altre leggende, più interessanti, lo vedono invece come colui che portò in Inghilterra, alla corte di Bessy -così chiamava affettuosamente la regina- il tabacco. Siccome era un tipo molto figo, e anche la corte inglese, fumare divenne una moda in tutto il paese e una volta qualcuno scommise che lui -Raleigh- non sarebbe stato in grado di "pesare il fumo". Ma, ripeto, lui era un gran figo, e quindi se la cavò prendendo una bilancia e pesando un sigaro, poi lo fumò, bene attento che la cenere cadesse nel piatto; quando ebbe finito mise sul piatto della bilancia anche il mozzicone, sottrasse il nuovo peso dal peso originale del sigaro intatto: la differenza era il peso del fumo.

La storia l'ho sentita oggi nella scena iniziale del film "Smoke", quando uno scrittore, Paul Benjamin, entra in una tabaccheria per comprarsi i suoi sigari. 


DENNIS: You mean, weigh smoke?

PAUL: Exactly. Weigh smoke.
TOMMY: You can't do that. It's like weighing air.
PAUL: I admit it's strange. Almost like weighing someone's soul. But Sir Walter was a clever guy. First, he took an unsmoked cigar and put it on a balance and weighed it. Then he lit up and smoked the cigar, carefully tapping the ashes into the balance pan. When he was finished, he put the butt into the pan with the ashes and weighed what was there. Then he subtracted that number from the original weight of the unsmoked cigar. The difference... was the weight of the smoke.


A.

domenica 5 febbraio 2012

Perché aspettare "Moonrise Kingdom"


1. Sarebbe il nuovo film di quel geniaccio di Wes Anderson (quello dei Tenenbaum)
2. Vanta un notevole cast, tra cui: Bill Murray, Bruce Willis, Edward Norton -vestito da scout- e Tilda Swinton
3. Il trailer è pazzesco (e se il trailer è pazzesco i casi che si profilano sono solo 2: o il film fa schifo e chi lo ha montato é uno molto bravo, o -e qui non ci sono balle- è una gran figata)
4. E, sempre nel trailer, c'è una canzone di Francoise Hardy. Mica fuffa.




(qui, altro video per i fan impennati di Anderson)
A.